E’ una strage senza fine. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, agenti penitenziari: il suicidio diventa una pratica sempre più ricorrente tra chi è chiamato a difenderci, ed è un fenomento triste, evidentemente sempre più in espansione. Molto più diffuso rispetto alle morti per cause di servizio, dall’omicidio al semplice – ma non tanto – incidente stradale.
La conferma viene da un decreto – passato nel silenzio dei più – firmato l’altro ieri dal capo della Polizia, Franco Gabrielli. Che ha istituito un osservatorio interforze “sul fenomeno suicidiario tra gli appartenenti alle forze di Polizia”. Il che è drammatico di per sé, e sarebbe anche interessante conoscere i numeri ufficiali. Purtroppo neanche dal Viminale si riesce ad avere notizie, la diretta facebook su una questione così grave non è evidentemente prevista, né si spreca per così poco il sottosegretario Molteni nel rispondere su una questione che rappresenta una tragedia sociale.
Eppure, sembra di trovarci di fronte ad una vera e propria escalation. Scrive Gabrielli nel suo decreto: bisogna attivare “procedure, strutture e interventi atti a prevenire ovvero intercettare il disagio professione e personale, gestendone gli effetti al fine di evitare accadimenti autolesivi o autosoppressivi”.
Sono parole che paiono pietre. Finora ogni singolo corpo gestiva la questione al proprio interno. Ora l’Osservatorio fra tutti è indubbiamente più di un campanello d’allarme.
Esistono dati ufficiosi, raccolti tra varie fonti. L’associazione Cerchio Blu, una Ong che segue le questioni legate alle forze di polizia, ha censito circa 250 morti tra il 2010 e il 2018 tra tutti i corpi esistenti, includendo anche gli operatori delle polizie locali, che non paiono invece trovare spazio nel decreto Gabrielli.
La preoccupazione nelle cifre viene evidenziata anche nel paragone con quello che succede nella popolazione generale dell’Italia. Al sito La NotiziaGiornale, tempo addietro risultava che la media dei suicidi tra i cittadini si aggira attorno a 5 casi ogni centomila abitanti. Il doppio tra le forze dell’ordine: 9,8 casi ogni centomila appartenenti.
Altro dato drammatico riguarda la modalità prevalente per togliersi la vita. E’ ancora il sito di Cerchio blu a fornire altre informazioni. Nell’88 per cento dei casi ci si uccide con l’arma di ordinanza. Nei restanti casi, si usa un’arma non “ufficiale” oppure nei modi tristi che già si conoscono, dall’impiccagione all’avvelenamento, dal soffocamento via gas alle lesioni da taglio. Oppure lasciandosi precipitare.
E’ indubbio che si tratta di un fenomeno che lascia davvero l’amaro in bocca, e il lavoro dell’Osservatorio – se trasparente e non reticente nella diffusione e lettura dei dati – potrà essere utile a comprendere perchè è così vasto e quali sono i motivi, spesso psicologici, di una tendenza che per molti è davvero ignota.
L’organismo istituito dal capo della Polizia si riunirà ogni quattro mesi. Probabilmente si sa già dove puntare per capirne di più, a partire dalle condizioni di benessere o meno del personale e alla gestione delle attività di servizio. E magari si scoprirà anche quanto sia doloroso per tanti appartenenti alle forze dell’ordine magari scoprire ogni giorno quanti delinquenti acciuffati mentre commettono reati, vengano rimessi in libertà poche ore dopo.
Oppure beccarsi perfino l’accusa di razzismo se si mette un immigrato che viola la legge con le manette ai polsi. Tanto, chi viene da fuori può anche dare in escandescenze: chi sbaglia è sempre l’uomo in divisa, secondo la vulgata rossa. E qualche giornalista pietoso pronto a raccogliere bugie lo si trova sempre.
fonte: secoloitalia.it