Da sempre la riflessione sociologica si focalizza sul tema dell’ordine sociale, intendendo con esso il rispetto e la conformità alle regole istituzionali. Il consenso su valori condivisi (che Durkeim definiva “coscienza collettiva”) trova, naturalmente, riscontro in quella serie di norme che una società si dà e che vanno a costituire la base del diritto. Il diritto rappresenta così una sorta di patto sociale, la cui violazione produce quella che siamo soliti definire “illegalità”. Nonostante ciò spesso il dibattito sulla questione della legalità assume una complessità che induce ad ipotizzare che il termine possa costituire un “punto di vista”,
un’interpretazione, piuttosto che connettersi ad un concetto chiaro ed evidente. Laddove, infatti, si assumano e perpetrino comportamenti di devianza rispetto ad un sistema di norme giuridiche pare evidente che si debba far riferimento all’ambito dell’ illegalità. Vi è invece – ubiquamente nella società occidentale – un atteggiamento che, oltre a non occuparsi dell’approfondimento e dello studio di certi fenomeni, ormai capillarmente diffusi soprattutto nelle grandi città, tende a minimizzare l’entità di una serie infrazioni e violazioni della legge, come se esse non avessero il rilievo, nonché le ricadute sociali, che invece hanno. In Italia, se ben riflettiamo, ancor più che altrove molti comportamenti illegali vengono blandamente sanzionati, considerati quali bravate, addirittura – in alcuni casi – motivo di vanto per chi li perpetra ai danni dello Stato. Quasi che parte dei cittadini vivessero le istituzioni, nonché il “Sistema Stato” – verso il quale spesso vi è uno sprezzante distacco, piuttosto che un naturale senso di appartenenza – non come un organismo legittimatore, ma alla stregua di un nemico contro cui schierarsi. Ciò che invece dovrebbe aiutare a comprendere che il concetto di legalità ed illegalità non siano arbitrari, ma abbiano carattere di universalità, è il fatto che essi derivino – e si fondino – sul rispetto della norma giuridica, la quale ha carattere di obbligatorietà per chiunque appartenga ad una società fondata sul diritto. Non si tratta più di coscienza collettiva, ma di tutela della sovranità popolare, che ha stabilito che tutti si viva “sub lege”, con precisi diritti e chiari doveri.
Qualsiasi trasgressione nei confronti del sistema giuridico produce illegalità, questo il concetto chiave sul quale intendersi. Necessita perciò di essere sanzionata o punita, a seconda della gravità e dell’importanza della discrepanza rispetto alla norma violata. Questo anche nella fondamentale considerazione del fatto che l’illegalità vada ad incidere pesantemente sulla qualità della vita sociale, nel momento in cui crea inefficienza giuridica, diseguaglianze sociali, effetti negativi diffusi nei confronti del concetto di appartenenza ad una collettività, quel bene comune che i latini definivano “Res Publica”, da molti oggi vissuta come un nemico contro cui combattere, grazie alle distorsioni politiche che ne minacciano, soprattutto nel nostro paese, la percezione.La presenza di una sempre maggiore sacca di illegalità diffusa, in Italia viene considerata come una delle peculiarità che contribuirebbe a spiegare alcune macroscopiche falle che stanno alla radice delle disuguaglianze tra i diversi settori della società e i differenti ritmi di cambiamento nelle varie regioni. Quello che si ritiene importante sottolineare è che il nostro Paese, riguardo ai tassi di certi reati, quelli più gravi e delittuosi, non si discosti in modo significativo dalla media europea, anzi in alcuni casi quelli registrati in Italia sono nettamente inferiori.La differenza si gioca piuttosto sulla diffusione di un’eterogenea tipologia di fenomeni borderline, soprattutto nella percezione comune, che minano profondamente gli equilibri economici e sociali italiani. Il riferimento va, per esempio, all’economia sommersa, all’evasione fiscale, al lavoro nero, all’abusivismo, alla corruzione, diffusa in vari ambiti della società, ma grave laddove tange politica e contesti amministrativi pubblici, soprattutto se non contrastata da azioni di governo efficaci e radicali. Forse proprio questi malanni generano quella sfiducia crescente che induce i cittadini a perpetrare comportamenti illegali, quasi essi rappresentassero l’unica modalità per difendersi da uno Stato la cui classe dirigente, troppo sovente, è la prima a macchiarsi di atteggiamenti che violano le norme costitutive del diritto. In ultima analisi la diffusione di quel genere di illegalità che connota l’Italia deriva dalla crescente difficoltà nel disciplinare i rapporti tra Stato, politica e società, quindi di interazione tra attori individuali ed attori collettivi. A latitare, ancora una volta (lo si evince anche grazie agli studi formulati sulle giovani generazioni) è l’esempio edificante dato e dettato da regole culturali e sociali, ancor prima che istituzionali.
PROF. Michele Miccoli
Fonte: sociologiaonweb.it